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L’ayurveda riguarda l’equilibrio...
l’equilibrio nel sonno, equilibrio nel cibo, equilibrio nell’attività fisica, attività sessuale, tutte quelle cose che quando hanno raggiunto un equilibrio, permettono al tuo corpo di funzionare correttamente. L'ayurveda, inteso come il tradizionale sistema di guarigione in India, utilizza oltre 5.000 erbe. Erbe e spezie in ayurveda sono particolarmente versatili e ben assortite per risolvere i problemi comuni che incontriamo quotidianamente e sono diventati rimedi popolari, integratori naturali per una varietà di condizioni nonchè componenti della cucina ayurvedica. Il cuore della cucina indiana (ayurvedica) sono proprio le spezie, accompagnate dalle erbe e dai condimenti e l’uso sapiente che se ne fa. La maggior parte delle spezie non sono soltanto di aiuto al gusto dei cibi, ma anche alla salute. Esse sono utilizzate per modificare le qualità degli alimenti, per renderli maggiormente digeribili e ridurne gli eventuali effetti collaterali. Una cucina senza spezie è solitamente una cucina povera di nutrimento, perché i diversi alimenti non hanno la possibilità di rendere armoniche le proprie energie primarie preponderanti. La scienza dell’uso delle spezie per accentuare il gusto dei cibi e mantenere la salute risale a migliaia di anni fa, rifacendosi alla pratica dell’ayurveda e dell’artha-shastra. Il dosaggio delle spezie va adattato al gusto personale e alla costituzione (dosha), alla propria capacità digestiva e alle caratteristiche degli ingredienti ai quali si aggiunge. Le tipologie costituzionali nella medicina ayurvedica e l'uso delle spezie Sono dieci le tipologie costituzionali individuate dall'Ayurveda, mentre tre sono le ripartizioni stagionali dell'anno. Oltre che a insaporire il cibo, le spezie vengono utilizzate per l'influsso benefico che hanno sui Dosha e per favorire la digestione in diversi modi. Vediamo alcuni esempi...
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La riflessologia auricolare è una particolare tipo di riflessologia, grazie al quale viene rappresentato sul padiglione auricolare tutto il corpo umano, suddiviso in aree e settori.
Agire sui punti riflessi sulle orecchie permette di ottenere molti benefici senza particolari controindicazioni. Il concetto cardine di qualsiasi riflessologia è quella di mappare tutto il corpo su una piccola porzione:
Già la forma delle orecchie richiama alla mente l'immagine di una figura accovacciata in posizione fetale. La forma tondeggiante delle orecchie permette di riflettere il corpo in posizione accovacciata a testa in giù. In questo modo la testa si trova sul lobo, la colonna vertebrale si riflette sul lato esterno del padiglione, mentre gli organi si riflettono intorno al canale (meato) acustico. Le ginocchia si piegano quindi nella conca superiore e gli arti, piegati, verso la sommità del padiglione.L'orecchio ha una superficie molto esigua in proporzione alla quantità degli organi e delle parti anatomiche che vengono riflesse su di essa, perciò i trattamenti vengono spesso eseguiti con particolari bastoncini e con lievi pressioni della punta delle dita. La Riflessologia Auricolare Funzionale, si basa sul principio che ogni organo ha un punto corrispondente riflesso nelle micro-aree del padiglione auricolare esterno. Queste aree, opportunamente sollecitate, agiscono sull’ organo, apparato o funzione energetica ad essa correlata (secondo i principi della riflessologia), modulandone la reattività agli insulti dell’ambiente esterno e alle informazioni provenienti dal Corpo. Quando si parla di “benessere”, in Riflessologia Auricolare Funzionale si intende la capacità individuale di potenziare al massimo le proprie capacità reattive. La quantità di energia vitale di ogni persona, variante col tempo, può influenzare notevolmente lo stato di salute o di malattia. La Riflessologia Auricolare Funzionale prende in analisi questa “capacità vitale” e favorisce l’individuo nella sua conservazione o il suo ripristino, in caso di squilibri e/o alterazioni energetiche. #CentroYogaEderel RICOMPORRE LE LACERAZIONI INTERIORI IN UNA NUOVA E PREZIOSA UNITÀ Il kintsugi è una tecnica giapponese che consiste nella riparazione della ceramica con oro o argento, utilizzati per ricomporne i frammenti o per mettere in risalto, col materiale prezioso, crepe e linee di rottura, creando in tal modo oggetti unici. Secondo questa prassi, l’imperfezione può generare una bellezza imprevista e originale, se si sa dare valore a ciò che si è “rotto”, anzi alla lacerazione stessa. il WabiSabi (侘寂), una particolare estetica e visione del mondo giapponese, sostiene che il concetto di bellezza stia proprio nell’imperfezione delle cose. Come sintetizza lo studioso Richard R. Powell, «Il WabiSabi nutre tutto ciò che è autentico accettando tre semplici verità: nulla dura, nulla è finito, nulla è perfetto». Oro al posto della colla, errori come opportunità e accettazione dell’imperfezione. Sarebbe bello prendere esempio dai principi del Kintsugi e dall’estetica Giapponese. A ben pensarci, il vaso, con le sue crepe, è davvero una perfetta metafora della vita: mai lineare ma ricca di spaccature, fratture e scissioni. Dovremmo forse provare a mettere da parte la nostra ossessione del perfetto perché, come disse il critico d’arte John Ruskin: «L’imperfezione è in qualche modo essenziale per tutto ciò che sappiamo della vita. E’ il segno della vita in un corpo mortale, vale a dire, di uno stato di progresso e cambiamento». E’ possibile applicare lo stesso concetto nei confronti delle lacerazioni presenti nella nostra vita, passate o presenti, con particolare riguardo alle ferite d’amore e al vissuto in proposito. Attraverso auto-ascolto, disidentificazione, contatto con la natura, riti di guarigione, attività creative, i partecipanti potranno “rivestire d’oro” le proprie esperienze meno felici, cogliendone il significato e i doni che arricchiscono la personalità, e ricucire i frammenti dell’anima col prezioso filo dell’amore e della volontà. Giovanna è un’artista di teatro-danza. Dopo la formazione in architettura a Milano ha iniziato a lavorare in teatro e in televisione come acrobata e ballerina di danza modern- jazz, al fianco di artisti come Dario Fo e Enzo Jannacci. Impegnata nell’attività di associazioni che operano a sostegno di chi ha subito grandi traumi, nel marzo 2018 porta in scena come regista e coreografa lo spettacolo di danza contemporanea “Kintsugi”. Lo spettacolo ha come tema centrale la ricostruzione interiore dopo il trauma subito e l’orgoglio di mostrare le proprie cicatrici, le proprie debolezze e i propri insuccessi, costruendo su quelli la propria prospettiva futura. Tecnica trattata nella scuola di formazione Centro Ederel
Per info e iscrizioni: segreteria Nunzia 335.6464259 - segreteria amm.va Raffaella 393.9715464 Il massaggio Ortho-Bionomy® sfrutta la capacità di auto-guarigione dell'organismo, praticando leggere compressioni. Scopriamolo meglio. La tecnica del massaggio Ortho-Bionomy® Il termine Ortho-Bionomy® significa letteralmente “Corretta applicazione delle leggi della vita" (Ortho: diritto, giusto, corretto; Bio: vita; Nomy: legge). Si tratta di un metodo di cura alternativo e innovativo facente parte delle terapie manuali della massoterapia, ma non solo, fondato negli anni '70 dall'osteopata canadese Arthur Lincoln Pauls (1929 - 1997).Pauls sosteneva che “I nostri corpi sono in grado di correggersi da soli ma devono essere motivati ed aiutati a cercare di scoprire come fare il cambiamento”. Oriente e occidente si incontrano, le radici di questa pratica si trovano nel pensiero della filosofia taoista e nelle arti marziali; uno dei fondamenti del pensiero taoista è infatti quello dello sviluppo della naturalezza che permette lo scorrimento dei fenomeni senza un intervento esterno, ovvero WEI WU WEI,"Azione senza azione". A questi si accompagna un altro metodo in grado di allentare le tensioni muscolari ed eliminare i dolori articolari, sviluppato attraverso le posizioni antalgiche. Come funziona? La tecnica da cui Pauls ha preso ispirazione si chiamava “Spontaneous release by positioning”, "Rilassamento spontaneo attraverso posizionamento", una nuova tecnica osteopatica che sfrutta le posizioni naturali che il corpo assume per causare spontaneamente il rilascio della tensione muscolare e favorire la scomparsa del dolore. Attraverso il massaggio Ortho-Bionomy®, si fanno assumere al corpo le posizioni più comode che vengono mantenute per qualche minuto. Una volta individuata la posizione correttiva e antalgica, cioè che non produce dolore, si pratica una leggera compressione sull'articolazione; la compressione determina una azione uguale e contraria che permette il ritorno all'equilibrio dell'articolazione. Questo consente anche di diminuire il tempo di risposta dell'azione correttiva in sè, poichè non è più necessario mantenere la posizione per alcuni minuti, ma possono essere sufficienti pochi secondi. La compressione, effettuata da mani esperte, si pratica con un tocco molto leggero e delicato, non viene usata forza, e determina una stimolazione di autocorrezione nella persona trattata. Il metodo non può considerarsi esclusivamente una tecnica manuale di manipolazione; infatti il processo di autocorrezione scatta quando è il corpo ad accorgersi consapevolmente dello stato nel quale si trova, importantissimo è dunque lavorare anche sulla consapevolezza di sè. Non sono necessari supporti particolari, si può ricevere un trattamento su un lettino di legno oppure a terra o seduti su una sedia, in relazione al tipo di lavoro che si decide di intraprendere. I trattamenti sono generalmente individuali ma è possibile praticare anche in gruppo. Quali disturbi cura il massaggio Ortho-Bionomy® Il massaggio Ortho-Bionomy® è una tecnica corporea che interviene soprattutto per rilassare le tensioni che causano dolori muscolari, contrazioni e blocchi articolari con le relative conseguenze anche psicologiche; praticamente le manovre di rilassamento sono basate sulle posizioni antalgiche e sulle leggere compressioni che l'operatore esperto esercita con le mani per stimolare nel paziente da trattare una auto-correzione. Anche se vi è contatto, il metodo non è propriamente considerato un gesto manipolativo, ma di stimolazione dei naturali meccanismi fisiologici del corpo, così da permettergli di ritrovare le sue funzioni naturali, alterate da cause diverse, come posture poco naturali, abitudini scorrette, incidenti o altro. L'ortobionomista rivolge le sue energie al fine di creare una condizione ottimale di sensibilità corporea (di tipo esperienzale). La sensibilità stessa, dotata di innata intelligenza (e reattività), diventa il mezzo di auto-regolazione dell'organismo (riflesso auto-correttivo). Per chi è pensato il massaggio Ortho-Bionomy®? Si tratta di una pratica e filosofia di vita che unisce la pragmaticità d'azione del mondo occidentale con l'introspezione sviluppata dalle culture orientali, per cui si può dire che a trarne beneficio sono tanto gli operatori, quanto i pazienti trattati. La pratica risulta essere gradevole e rilassante per chi la riceve perché parte dal presupposto che l’operatore deve entrare in uno stato di completa relazione d’ascolto con l’altro.La terapia così strutturata è pensata per tutte quelle persone che desiderano riassestare il proprio equilibrio, partendo da una disfuzione articolare o blocco fisico che è all’origine del disagio. In genere si tratta di persone che avvertono il loro corpo come rigido e bloccato, utile anche per quanti si sentono appesantiti da tensioni e conflitti che hanno fatto perdere spontaneità e auto-consapevolezza.Con il massaggio Ortho-Bionomy® si recupera leggerezza e fluidità ed è una pratica rieducativa che può essere praticata e ricevuta ad ogni età. #centroyogaederel La meditazione Zazen è la pratica più utilizzata per avvicinarsi alla Verità dello Zen.
Zazen è il vocabolo utilizzato per riferirsi alla posizione adottata dal Buddha Shakyamuni quando raggiunse l’Illuminazione: si tratta della classica seduta a gambe incrociate tipica della meditazione. La pratica Zazen ebbe origine nell’antica India, dove per sfuggire al caldo oppressivo i pensatori iniziarono a meditare nelle foreste e sulle colline, sotto la chioma di enormi alberi che fornivano loro un po’ di ombra e sollievo. Tuttavia si accorsero che stando in piedi si stancavano facilmente, mentre sdraiandosi si addormentavano. La postura Zazen nacque proprio per consentirgli una posizione comoda che al contempo garantisse la concentrazione. In Zazen il punto focale è quello di armonizzare il corpo, il respiro e la mente. La respirazione gioca un ruolo fondamentale in tal senso: in India il respiro viene chiamato prana o vita proprio per la sua connessione profonda con la nostra energia vitale. Si tratta di un mezzo potentissimo per aiutare la mente a sciogliere le perplessità e le delusioni che la affliggono. Esiste anche una forma ortodossa e semplificata di Zazen, la posizione del loto, che prevede il piede destro poggiato sulla coscia sinistra e il piede sinistro sulla coscia destra. Al termine della meditazione Zazen le mani vengono poste sopra il petto con la mano destra che afferra il pugno sinistro. Segue una passeggiata lenta, scandita da un respiro per ogni passo, chiamata Kinhin, che aiuta a mantenere la mente calma e alleviare la rigidità delle gambe. Nello Zazen non si cerca nulla, nemmeno l’illuminazione. Bodhidharma l’ha definita proprio per questo la pratica della non ricerca. Eppure i risultati che si ottengono da questa meditazione sono sostanziali: se praticata con costanza rinforza il sistema nervoso involontario, apre il plesso solare e apporta numerosissimi benefici tra i quali:
In breve, la pratica prepara il corpo e la mente alla prossima fase dell’attività vitale. I Sutra Un ultimo aspetto fondamentale dello Zen sono i Sutra, gli insegnamenti dei saggi. Il termine è tradotto letteralmente come “filo” dal sanscrito, nel senso di breve frase. L’insegnamento Zen recita: “Una buona parola tiene un asino inchiodato a un palo per cento anni”. I Sutra sono brevi insegnamenti atti a trasformare ed evolvere il nostro pensiero per avvicinarci alla Verità. Si recitano per indurre uno stato mentale che favorisca la consapevolezza e che ci faccia sentire tutt’uno con il mondo. Originariamente la parola fu usata per identificare gli insegnamenti orali tramandati direttamente dal Buddha stesso, che furono poi recitati a memoria dal suo discepolo Ananda durante il Primo Consiglio buddista. Nel buddismo orientale e in quello tibetano, tuttavia, si ritiene che non solo il Buddha, ma anche i suoi discepoli possano aver impartito degli insegnamenti che fanno parte del canone ufficiale. In questi rami del buddismo sono accettati anche altri testi non riconducibili alle originali recitazioni orali di Ananda. Questi testi sono pensati per includere la Verità emanata dalla natura di Buddha, e quindi sono considerati come Sutra. Come portare lo Zen nella nostra vita Quindi, cosa significa realmente vivere lo Zen? Una spiegazione è quella del famoso insegnante di Zen Philip Kapleau nell’introduzione del libro Zen Keys di Thich Nhat Hanh, dove descrive lo Zen come possibile antidoto a molti dei problemi della società moderna: “Una risposta ovvia è – attraverso lo Zen. Non necessariamente il Buddismo Zen, ma lo Zen nel suo senso più ampio di mente consapevole che punta in una direzione; di vita disciplinata con semplicità e naturalezza, opposta ad una vita artificiosa e forzata; di vita compassionevolmente coinvolta nel benessere del mondo e non egocentrica e aggressiva. Una vita, in breve, di armonia con l’ordine naturale delle cose e non in costante conflitto.” In un certo senso, questo non è solo Zen – Kapleau sta descrivendo la vita stessa. Questa è la saggezza intuitiva. Per accogliere lo Zen nelle nostre vite non servono grandi rituali, ma semplicemente piccoli gesti che ci avvicinino alla pace mentale: Vivere ogni momento con consapevolezza. Se stiamo pulendo casa, immergiamoci nell’atto di pulizia; se siamo con i nostri cari, siamo completamente presenti per loro; se ci stiamo rilassando, rilassiamoci e basta, non lasciando che gli eventi del giorno o le preoccupazioni del futuro infestino i nostri pensieri.
Argomento trattato nel Centro Ederel
Info e iscrizioni: segreteria Nunzia 335.6464259 - segreteria amm.va Raffaella 393.9715464 Significato e origine della parola Zen In sanscrito dhyana, in cinese ch’an, in giapponese zen: pensare, riflettere, meditare. Zen chanZen è la pronuncia giapponese del carattere cinese “Chan” (禪), che a sua volta è la traduzione del termine sanscrito “Dhyana“. Il suo significato letterale è “visione”, ma viene spesso tradotto anche con “meditazione”, intesa come “stato di perfetta equanimità e consapevolezza”. La pratica del Dhyana era largamente utilizzata nel Buddismo, nell’Induismo e nel Jainismo per raggiungere l’illuminazione (che a seconda della religione era vista come perfetta purezza mentale, ricongiungimento con Dio oppure apertura del terzo occhio). Un percorso linguistico, storico e culturale, che descrive come lo Zen non sia una religione né una filosofia, bensì una metodologia dello spirito, della coscienza e della mente che può essere adottata da chiunque, in qualunque luogo e tempo. Lo Zen è una Via semplice, diretta e concreta che ci riporta alla realtà, “qui e adesso”. Percorrendo la Via dello Zen, chiunque può superare i condizionamenti e gli attaccamenti dietro cui si nasconde la realtà e immergersi nella vita attimo dopo attimo, per cogliere la Verità Assoluta e viverla liberamente e creativamente. Lo Zen non intende spiegare che cosa sia questa Verità Assoluta, perché è solo attraverso l’esperienza diretta che essa può essere contattata e ogni tentativo di spiegazione sarebbe relativo e non assoluto. In ogni parte del mondo, mistici sufi, cristiani, buddhisti, induisti e aborigeni hanno rinunciato alla sicurezza delle teorie e dei propri schemi mentali per fare esperienza di questa Verità Assoluta. Questa Verità è una e la Via dello Zen si occupa di questo Assoluto, non di uno schema religioso fissato dall’ uomo come “io personale”. Lo Zen torna, infatti, all’ insegnamento di quell’uomo libero, il Buddha Shakyamuni che… …un giorno un’immensa folla di persone si radunò per ascoltare gli insegnamenti di Shakyamuni, il Buddha. Il Buddha non disse una parola tenne semplicemente in mano un fiore, solo il discepolo Kasyapa comprese l’essenza di questo gesto. Avvenne così la prima trasmissione di un insegnamento senza parole, da maestro a maestro da mente a mente i Shin den Shin. Mille anni dopo un monaco indiano arrivò in Cina dopo un lungo viaggio si chiamava Bodhidharma. Era il ventottesimo erede di una ininterrotta linea di maestri discendente direttamente dal Buddha e portava con sé l’essenza di quell’insegnamento. Come altri sulla terra, il Buddha Shakyamuni ebbe un giorno esperienza diretta della “natura vera della vita”, l’Illuminazione, e trascorse tutto il resto della sua esistenza a indicare agli altri la strada perché potessero loro stessi realizzarla. Per lo Zen il messaggio del Buddha è giunto a noi passando attraverso una trasmissione ininterrotta di Maestri. Questo è il motivo per cui nello Zen non sono tanto importanti gli insegnamenti scritti, quanto la vita vera del Maestro Illuminato. Non è lo studiare la Via del Buddha l’essenziale, ma il viverla attualizzandola nella realtà di tutti i giorni. Possiamo quindi dire che lo Zen è nell’ attimo presente, “qui e adesso”, e solo in questo possiamo ritrovarci. In molti si avvicinano alla meditazione Zazen perché curiosi di sperimentare non solo la pratica meditativa in sé, ma anche e soprattutto i dettami dello Zen. Eppure sono davvero poche le persone che comprendono a fondo il suo significato e sono in grado di accoglierlo nelle loro vite. Bodhidharma, il monaco indiano considerato il fondatore della scuola Chan/Zen, lo descrive come segue: Una speciale tradizione esterna alle scritture Non dipendente dalle parole e dalle lettere Che punta direttamente al cuore dell’uomo Che vede dentro la propria natura e diviene Buddha. Volendo semplificare questa definizione, potremmo a grandi linee descrivere lo Zen come segue:
Arrivati a questo punto potremmo chiederci perché sia così importante fare tesoro dell’attimo presente. Per quale motivo il futuro, il passato e tutti i pensieri che ci isolano dalla realtà vanno eliminati dalla nostra mente? La risposta è tanto affascinante quanto enigmatica: secondo lo Zen, eliminando le nostre sovrastrutture mentali e superando l’attaccamento al mondo materiale è possibile arrivare alla Verità Assoluta e viverla nella sua pienezza. Non viene mai specificato nei dettagli quale sia questa Verità (anche chiamata Illuminazione, simile a quella sperimentata dal Buddha), perché si tratta di un’esperienza soggettiva e unica per ogni persona. La parte importante nello Zen è l’esperienza effettiva. Anche solo provando ad applicare i suoi precetti ci rendiamo parte del moto perpetuo dell’umanità. I paradossi dello Zen Uno degli aspetti dello Zen che più confonde chi non lo conosce sono i paradossi: il paradosso gioca un ruolo fondamentale negli insegnamenti dello Zen, in quanto spinge la mente in una direzione diversa da quella a cui è abituata durante la routine. In questo modo aiuta a tenere a bada il pensiero razionale e liberare la creatività e l’intuizione. Indica anche una verità che non può essere razionalmente derivata attraverso l’uso della logica. Non fatevi spaventare da questi paradossi, in quanto servono proprio a stimolare e sfidare la nostra mente. Ogni riflessione che ne deriva è un passo verso la consapevolezza. I più importanti paradossi dello Zen sono i seguenti:
Queste persone non sono ancora pronte ad affrontare questo particolare livello di sviluppo spirituale, ed è assolutamente accettabile. La strada verso la consapevolezza non va mai affrettata, e se dopo aver letto quest’articolo lo Zen vi sembrerà ancora qualcosa di poco credibile significa semplicemente che non è il momento giusto per accoglierlo nelle vostre vite. #CentroYogaEderel Argomento trattato nella scuola di formazione Centro Ederel
Per info e iscrizioni: segreteria Nunzia 335.6464259 - segreteria amm.va Raffaella 393.9715464 La segretezza dei simboli Molti maestri di Reiki considerano i simboli Reiki sacri e persistono nella vecchia filosofia che essi debbano essere tenuti segreti. Secondo questa tradizione i simboli dovrebbero essere conosciuti e messi a disposizione solo di coloro che sono stati avviati al 2° livello Reiki. Oggi, questo approccio non è più rilevante, anche perché i simboli sono stati ormai descritti in molti libri e sono liberamente disponibili su Internet. I simboli Reiki in quanto tali e le informazioni che si possono leggere su di essi sono comunque di poco valore di per sé stessi. Sono come formule magiche in qualche modo inutilizzabili da sole. Infatti i simboli hanno poco o nessun reale beneficio senza una iniziazione Reiki. Solo l’iniziazione Reiki come tale dà ai simboli Reiki il loro reale potere. Proprio come il potere di una formula magica si manifesta solo nelle giuste mani. Pensate al film Disney “Fantasia”, dove Topolino interpreta uno sbadato apprendista stregone che pensa, suo malgrado, di possedere grande potere, solo perché si è impossessato del cappello magico. Ecco che allora rivelare o tenere segreti questi simboli ormai non fa più molta differenza, anche perché essi agiscono solo attraverso un’intenzione chiara e consapevole di chi li utilizza. A cosa servono i Simboli Reiki I Simboli di Reiki sono quindi un aiuto che Usui ha voluto lasciarci per permetterci di usare l’Energia di Reiki a livelli differenti e poter sperimentarne la grande efficacia. Ciascuno dei tre simboli è tradizionalmente collegato a tecniche e scopi differenti:
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